Per tutte le altre destinazioni

Per questi campi che finiscono nel blu
che tristezza questa gente a testa in giù!
No, io no, non sarò
mai un uomo che sgobba,
fatiga tu per me, cuntadì,
ché la terra gobba!
Per i ciottoli fertili di noia
circondato da un silenzio che t’ingoia,
spargerò sale per la strada
perché la gente è sciapa!

Terragobba era il soprannome di un anarchico marchigiano dei primi del Novecento, che non lavorava ed era solito bighellonare nelle campagne tra Monteporzio e Corinaldo, in provincia di Ancona. Quest’uomo aveva la strana abitudine di gettare manciate di sale per la strada. A chi gli chiedeva perché lo facesse, Terragobba rispondeva: "perché la gente è sciapa!"

Partiamo per mari che non sembrano mari
disegnati su un buio senza stelle né fari
dove il cielo finisce,
l’acqua nasconde
quell’abisso che fiorisce
dove inizia l’orizzonte.

Partiamo per luoghi senza strade né nomi
dove non ci sia nulla che si mischi con noi
e la mente sia vana,
la bocca sia chiusa,
ogni immagine strana
senza senso e confusa.

Nella memoria un ricordo lontano di
terre vicine allo sguardo e alla mano
d’un cielo scuro e chiuso che tu
già dimentichi e non vedi più.

Nella memoria un ricordo ormai fioco di
strade e cartelli a segnare un incrocio
e nelle tempie un vociare che tu
già dimentichi e non senti più.

Venivan su per una cavedagna,
a passo lento, tra i campi ed i calanchi,
calcavano una terra ai più straniera,
una terra inquieta di frontiera.

Venivan su tra i campi, a passo lento,
dei giovani con le mostrine al petto,
collane di pallottole a cingere le spalle
e bombe, bombe a mano a ingrossare la cintura,
e ad annunciarli a noi un silenzio di paura.

Piovono bombe dentro la scuola
e non siamo in pochi, non si muore da soli,
dall’oratorio non si può fuggire
le grida, un boato, e nessun lieto fine.

Settembre 29 ’44,
ci alzammo tra i casolari in fiamme,
pronti a fuggire coi carri e con i buoi,
Cerpiano e Casaglia non avevano più eroi.

Venivan su e non per far battaglia,
o saccheggiare, ma solo per punire
chi quella terra abitava in povertà,
nemmeno i nostri bimbi li mossero a pietà.

Piovono bombe dentro la scuola
e non siamo in pochi, non si muore da soli,
dall’oratorio non si può fuggire
le grida, un boato, e nessun lieto fine.

Questa canzone parla di una delle pagini più drammatiche della nostra storia.
Il 29 settembre del 1944 si è consumato l’eccidio di Monte Sole, nei territori dei comuni di Marzabotto, Grizzana Morandi e Monzuno, in provincia di Bologna. La strage venne guidata dal maggiore Walther Reder, per rappresaglia contro le sortite della brigata partigiana Stella Rossa, operante in quei luoghi e appoggiata dalle popolazioni locali. Un calcolo approssimativo delle uccisioni conta 1.830 vittime, prevalentemente donne e bambini. Si tratta della più grande ed efferata strage di civili perpetrata in Europa dalle S.S. naziste.

Se non scrivo mai di te né ti regalo una canzone,
se non stringo il nostro amore in un pugno di parole
è perché tempo che scoppi come bolla di sapone.
In un prato abbandonato sai trovare i quadrifogli
con gioia delicata ridendo li raccogli,
ma non voglio parlare di quello che sai fare.
Ai pensieri senza uscita che tappano i miei giorni
doni un po’ di aria quando torni,
ma non voglio parlare di ciò che mi sai dare.
Preferisco non cantare quanto è morbido il tuo viso,
o la pace che sa darmi un tuo sorriso,
ma voglio cantare il tuo mancare,
voglio solo cantare il tuo mancare,
posso solo cantare il tuo mancare.

Che la morte non arrivi
quando pensi ai tuoi bambini,
alla donna che ti ama
oppure a chi ti ha cresciuto.

Che la morte non arrivi
quando sei in casa da solo,
quando sei nella tua stanza
o in un letto d’ospedale.

Che la morte non arrivi
quando parli o quando taci,
quando dici una sciocchezza
oppure tessi un bel discorso.

Che la morte non arrivi
in quel che resta della notte,
se ti cullano i tuoi sogni
oppure un incubo ti desta.

Che la morte non arrivi
quando non pensiamo a te,
quando ci premi sul cuore
o ti mandiamo una preghiera.

Che la morte non arrivi
né al mattino né alla sera,
né al crepuscolo del giorno
e non a pranzo e non a cena;
non arrivi con la luce
e dalla tenebra rifugga,
non arrivi il pomeriggio
o all’ora che al buio s’appoggia.

Non arrivi in ore pari,
non arrivi in quelle altre,
non arrivi in ore in punto,
non in mezze e non in quarte.

Non arrivi quando pensi
d’esser solo come un cane,
ma nemmeno quando senti
il nostro amore a riscaldare.

E se mai dovrai partire
per un viaggio senza fine
ti concedo solo mete
che insieme abbiamo immaginato:
le montagne fiere e schiette
del tuo Nepal da scalare,
oppure quel confine
che disegna il nostro mare.

Hai perso troppe estati
tra persiane di dolore,
hai perso troppe estati
nel ricordo di un amore.
Eri chiusa dentro il tempo
dove il tempo non si muove
e i suoi muri sono scuri
come il cielo quando piove.
Sei tornata in quei luoghi
riempiti dall’assenza
dove il tuo passato
ti chiama forte e senza
aspettartelo hai scoperto
una forza dentro te
e da lì ti sei rialzata
e non ti spieghi il perché.
Ma lo sai, lo sai,
oh sì, ora lo sai
che il passato è la tua forza
e non l’avresti detto mai
e i ricordi sono il prato
su cui sola danzerai;
che il passato è la tua forza
e non l’avresti detto mai
e i ricordi sono il prato
su cui sola danzerai.
Lo sai, sì lo sai.

Tu mi dici «andiamo di qua»,
poi mi dici «andiamo di là»;
se ti propongo di fare qualcosa
mi rispondi subito che non ti va.
Mi parli sempre di quello che fai
mi parli sempre di quello che sai
mi parli sempre e solo di te
e quello che dico non lo ascolti mai.

Ma dimmi un po’ chi me lo fa fare
di perdere il tempo con te,
ho tanti libri per prendere il mare
e andare lontano di qua,
per spiagge, per monti, palazzi, orizzonti
che tu non puoi neanche pensare;
e lascio ad un altro l’inganno di un corpo
che mentre t’ammazza non prova rimorso.

Vuoi rubarmi il tempo che fu
vorresti che non ci pensassi più
vorresti che in ogni pensiero
ci fossi sempre e soltanto tu.
Mi chiedi sempre «ma dove vai?!»
mi chiedi sempre «ma cosa fai?!»
mi dici sempre «telefona spesso!»
ma quando ti chiamo non rispondi mai.

Ma dimmi un po’ chi me lo fa fare
di perdere il tempo con te,
ho tanti libri per prendere il mare
e andare lontano di qua,
per spiagge, per monti, palazzi, orizzonti
che tu non puoi neanche pensare;
e lascio ad un altro l’inganno di un corpo
che mentre t’ammazza non prova rimorso.

Ho letto un libro
sui maghi antichi
sui loro sforzi
per cambiare l'ordine dell'universo.
Ho letto un libro
sui maghi antichi
sui tentativi
di trasformare il piombo in oro,
sugli alchimisti e sulla forma della realtà,
sui cabalisti e sugli indizi della verità.
Poi ho chiuso il libro
e ho pensato a te,
ti ho immaginata
con la bacchetta e una sfera in mano,
ma non sai dire nel futuro che cosa avverrà
e non sai infrangere le leggi dell'aldiquà.
Ma tu conosci una magia che non s’è mai sentita:
tu sei capace di trasformare,
sei capace di trasformare,
sí, sei capace di trasformare
la vita in vita!

Se tra quei desideri
che t’assalgono a tutte le ore
c’è un inutile oggetto
perché un cookie ha profilato il tuo cuore,
se in un supermercato
passi i giorni di festa a fare
un percorso guidato
che ti dice cosa devi comprare,
pensa sempre che ciò che ti serve
è molto poco e lo puoi avere
senza fatica!
Se ritieni importante
comandare su tanta gente
e per essere il primo
tratti tutti come fossero niente,
se davanti a uno schermo
passi i tuoi pomeriggi in pena
a contar le faccine
messe da chi ti conosce appena,
pensa sempre che ciò che ti serve
è molto poco e lo puoi avere
senza fatica!

La canzone è ispirata al pensiero di Epicuro, il filosofo dell’imperturbabilità. In particolare, il testo, che trovate qui di seguito, adatta ai nostri tempi il pensiero epicureo secondo il quale, per vivere bene, l’uomo avrebbe bisogno di poco: un po' di cibo ed un rifugio riparato per dormire.
Al giorno d’oggi è forse impossibile applicare alla lettera questo insegnamento; tuttavia, ad ogni modo, la riflessione di Epicuro può essere forse utile per liberarci da i nostri bisogni più superficiali, in un mondo in cui il superfluo sembra essere diventato necessario.